Balestrucci

Di partenze e pensieri con le penne

Uccelli in migrazione

Sembra esserci nell’uomo, come nell’uccello, un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove.
(Marguerite Yourcenar)

Questa mattina mio padre mi ha inviato un video fatto con il suo vecchio telefonino. Nel video il cielo è blu, riconosco le querce davanti a casa e su quelle querce si accalcano in un concerto di garriti e frullare di ali centinaia di balestrucci. Partono, ma prima devono aver trovato, proprio lì, davanti a casa, una importantissima e irrinunciabile fonte di proteine. Mio padre dice che devono essere formiche volanti, forse c’era un formicaio in prossimità dell’albero, e forse questo è il momento buono per sciamare. La partenza dei balestrucci è qualcosa che commuove. Perché se ne vanno, anche se l’estate non è ancora finita, ma sarà finita quando avranno raggiunto le coste dell’Africa, e i loro amati luoghi di svernamento. Ci saranno altri occhi, altre orecchie allora ad accoglierli. Un balestruccio pesa 15 grammi. Sono tre cucchiaini di zucchero, che qualcuno sembra gli abbia posato sulle penne della gola e del dorso. Si preparano a partire accumulando energie, perché il viaggio è lungo oltre ogni immaginazione: alcuni stormi si fermeranno sotto il deserto del Sahara, altri proseguiranno verso il Capo. Passeranno con il loro vociare agitato sopra le dune, le montagne di roccia nuda, gli arbusti e le pietre, i popoli in fuga, le capanne e la gente che muore di fame, o di sete, o di malattia. Supereranno in volo i fondamentalismi, le realtà cooperative sostenute dall’Occidente, i Parchi e le Riserve, mandrie di gnu, zebre, antilopi e poi tutti i predatori e i grandi erbivori africani. Le scimmie li osserveranno dai rami più alti degli alberi, raggiungendo la luce oltre la volta arborea, attratte dai loro richiami. Useranno la sagoma dell’Italia e le isole come un’autostrada con i suoi caselli, e poi all’improvviso sarà il blu. Ma solo per poche decine di miglia. Io non ho un luogo a cui tornare così distante, ma settembre è sempre il mese di una migrazione di pensieri. Settembre è il mio mese preferito, perché è il mese degli inizi, il mese che tira un respiro dopo l’estate soffocante, con la sua luce un po’ più tagliente e calda, la vegetazione esausta e carica di tonalità autunnali, il nero rassegnato dei boschi e dei campi bruciati, e l’aria che è tutto un agitarsi di molecole, mosse dai pensieri e soprattutto dalle parole.

I miei pensieri sono come i balestrucci in partenza. Voraci di nuove energie per prendere forma, per compiere il loro volo verso un sogno, una destinazione di intenti. Disegnano per un nuovo anno la vita che vorrei, e come io mi vorrei e come vorrei stessero le persone che ho accanto, consapevoli che si troveranno a primavera stanchi, più radi, e pronti a trasformarsi in nuovi pensieri, per una nuova ripartenza, per il viaggio a ritroso, carico di ciò che è stato imparato, e pronti a generare nuova vita, là dove attecchiranno.

 

In questo inizio di settembre ho dei pensieri veloci e dei pensieri più lenti. Alcuni sono chiari, e facili, altri viaggiano da anni senza mai arrivare a destinazione, percorrono incessanti i deserti, il mare, le savane, i boschi, e poi tornano indietro, e poi ritornano, ancora, indietro. Balestrucci fuori tempo, che hanno perso il ritmo di un’altalena che oscilla tra un nord e un sud. Cerco di far vibrare le ali in armonia con la bellezza a cui aspiro. Lavoro di visioni, segni e indizi, come devono fare i balestrucci quando partono, e hanno in mente il luogo in cui devono arrivare, aggrappandosi a dettagli macrogeografici che li guidino. Cerco di elevarmi sopra tutto, per avere la stessa portata di sguardo, lo stesso orizzonte. Spero di non perdermi per strada.

 

Partenza.

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