In Myanmar la Pace passa attraverso la Foresta

C’è un mondo a poche ore di aereo dalla mia scrivania che parla un’altra lingua, mangia altri cibi e soprattutto non conosce stabilità politica né democrazia.

Di questi mondi ce ne sono diversi a dire il vero, e dentro ogni mondo è possibile riconoscerne spesso altri, più piccoli e calpestati, le famose minoranze etniche delle quali sappiamo ben poco e ben poco probabilmente ci interessa. Non sono una grande esperta di minoranze nemmeno io, ma il lavoro di zoologa mi ha portata di continuo a confrontarmi con le comunità locali per trovare un punto di incontro tra tutela del lupo e sostegno alle attività zootecniche.

Per imparare quella che è più un’arte che un mestiere ho letto molto di altre comunità, altri predatori e altre storie di convivenza e mi sono appassionata a quella che è una branca in crescita della biologia: l’approccio sociologico.

Ho seguito le lezioni appassionanti del professor Alistair Bath della Memorial University of Newfoundland e di Leslie Irvine, professoressa alla Boulder University, Colorado. Ho dedicato alle human dimensions della conservazione del lupo la tesi di Master e oggi sono una fan dei processi decisionali partecipativi, della tolleranza, della programmazione neuro-linguistica e di due chiacchiere con il pastore assaggiando un pezzo di pecorino venduto sottobanco.

La storia del Myanmar e quella ancora più incredibile di Suu Kyi sono lontane anni luce dal mio stile di vita e dalle mie preoccupazioni, ma come conservazionista non posso che essere rapita dall’idea di un Parco, il Salween Peace Park, che nasce in un territorio di guerra, in un momento storico tutt’altro che stabile politicamente e soprattutto dal basso. Nascere dal basso per un’area protetta significa per volere e supporto popolare, cioè per opera delle comunità locali. L’istituzione ufficiale dell’area protetta è avvenuta nel 2018 ad opera dei Karen, una delle minoranze più perseguitate del mondo. I Karen mantengono vive tradizioni culturali e agricole antiche, che sono in perfetto equilibrio con gli ecosistemi forestali: un’etnia prevalentemente animista, convinta che ogni elemento della natura abbia un’anima e sia manifestazione divina.

Glacier Maruelno, Antoan, Hiking

Attraverso il Parco queste comunità, schiacciate in un’area montuosa tra Burma e Tailandia dal governo militare, hanno alzato la voce e rivendicato la propria esistenza attraverso l’istituzionalizzazione del proprio stile di vita, laddove l’istituzione di uno stato indipendente è più un’illusione che realtà. Anche in questa occasione ovviamente il governo militare non ha riconosciuto il Parco e ormai mi chiedo se riesca almeno a riconoscere sé stesso. Nonostante ciò, Paul Sein Twa, presidente e fondatore del Parco, ha vinto di recente il Goldman Environmental Prize, riservato a chi, spesso correndo enormi rischi per la propria vita, ha dedicato un impegno significativo alla protezione dell’ambiente. Grande risalto nell’attribuzione del premio è dato a coloro che sono coinvolti in progetti di conservazione su scala locale, dove il cambiamento viene ottenuto attraverso la partecipazione della comunità o dei cittadini.

Il Premio cerca così di ispirare altre persone comuni a intraprendere azioni straordinarie per proteggere il Pianeta. Paul Sein Twa in realtà non è mai stato solo in questa iniziativa. L’idea è iniziata a maturare circa vent’anni fa, quando insieme ad un gruppo di giovani attivisti ha fondato il Karen Environmental and Social Action Network, il cui obiettivo è ancora oggi, come allora, proteggere ambiente e cultura dei Karen in Myanmar. Inizialmente KESAN cercava di combattere attività di estrazione e esbosco illegali su scala locale, ma la tregua politica del 2012 con il governo centrale ha in realtà aperto la strada a minacce e pressioni peggiori, inclusa la costruzione di una diga sul fiume Salween, diga che affogherebbe letteralmente nell’acqua i Karen e il loro territorio di montagne e foreste. 

Nessuna commissione straniera dunque, nessun esperto occidentale per definire i confini e i regolamenti dell’area protetta o quali strategie di conservazione mettere in atto, ma centinaia di incontri pubblici in 348 villaggi del distretto di Mutraw, con circa 70.000 Karen coinvolti nella fase decisionale. L’idea è sempre stata quella di non creare un’area protetta sul modello occidentale ma valorizzare al contrario il legame profondo che questo popolo ha con la sua terra.

Un legame che non è paragonabile nemmeno a quello delle nostre civiltà contadine, per le quali non esisteva un vero equilibrio tra sfruttamento delle risorse naturali e natura, poiché tutto il possibile era assoggettato alla mano, alla zappa, alla sega e al fucile. I risultati in Europa li vediamo oggi. I Karen basano la loro gestione della terra su un sistema che si chiama kaw, fondato sulle loro credenze animiste. Il sistema kaw divide la terra in aree sacre, cimiteri, foreste protette, aree montuose destinate alle coltivazioni, giardini forestali, frutteti e risaie e stabilisce cosa e dove si possa cacciare e coltivare.

La maggior parte della superficie del Parco sottostà a questo sistema che sta garantendo alti livelli di biodiversità nonostante alcune pratiche di gestione siano state additate per decenni come distruttive soprattutto per gli habitat di foresta. Leader spirituali del kaw sono figure maschili della comunità in grado di comunicare con gli spiriti guardiani, una dote non concessa a tutti, ma che amministrano con l’appoggio di tutta la comunità le cui decisioni sono fondate su un sistema fortemente democratico. Le donne non giocano un ruolo minore: depositarie delle tradizioni, le tramandano alle generazioni successive rinforzando il senso di appartenenza e l’identità culturale. Sotto il profilo naturalistico le foreste dello Stato dei Karen sono state per decenni inaccessibili ai ricercatori a causa dell’instabilità politica.

Grazie all’istituzione del Peace Park oggi i biologi possono condurre attività di monitoraggio su specie minacciate con scoperte notevoli. Sono state identificate 19 specie diverse di carnivori, tra le quali la tigre, il leopardo e il dhole, dalle popolazioni in declino in gran parte del loro areale di distribuzione. La loro presenza è significativa: lo stile di vita dei Karen si dimostra oggi essere realmente compatibile e sostenibile con una comunità animale ricca e caratterizzata da specie non solo carismatiche ma altamente esigenti e vulnerabili al disturbo antropico.

Con il recente golpe militare che ha messo fine al governo civile, mai davvero riconosciuto nella sua autorità e legittimità, i Karen sono scesi in strada per manifestare. Sono pronti a tutto per opporsi a quella che potrebbe essere una nuova ondata di pulizia etnica da parte del regime militare. Come ha detto Castaldini, reporter della ONLUS Sol.Id., i Karen non vogliono arrendersi ad un futuro che li vorrebbe perennamente in fuga o come le tigri delle loro foreste, estinti.

https://e360.yale.edu/features/lessons-learned-from-centuries-of-indigenous-forest-management

https://www.cambridge.org/core/journals/oryx/article/first-structured-cameratrap-surveys-in-karen-state-myanmar-reveal-high-diversity-of-globally-threatened-mammals/7C11FE39FB3887E33066EB252741610C

https://e360.yale.edu/features/amid-tensions-in-myanmar-an-indigenous-park-of-peace-is-born

https://www.internationalrivers.org/news/peace-on-the-salween/

https://earthrights.org/publication/briefer-the-hatgyi-dam/

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